Cornamusa
o zampogna
Con
i termini cornamusa e zampogna
(in
inglese Bagpipe, in tedesco Sackpfeife,
termini molto espliciti formati dalle parole sacco e canna) si indica
un caratteristico strumento popolare a fiato, munito di ancia e
serbatoio d’aria, diffuso in tutta l’Europa,
nell’Africa settentrionale e nell’Asia islamica,
fino all’India.
La
sua caratteristica principale consiste
nel fatto che l’eccitazione delle ance, anziché
direttamente dal fiato del suonatore, come nella piva
(il semplice piffero o flauto di pan), è provocata
dall’aria immagazzinata in una sacca comprimibile, che funge
da camera pneumatica. Questa, tenuta sotto un braccio e alimentata
dalla bocca dell’esecutore permette
un’insufflazione ininterrotta delle canne e, quindi, la
produzione di un suono continuo.
Nella
maggior parte dei casi la sacca
è realizzata con una pelle di capra (ed in effetti in Spagna
lo strumento è comunemente chiamato gaita
che significa proprio capra, pecora o montone) utilizzando i fori del
collo e degli arti per inserire il cannello d’insufflazione e
le canne che producono i suoni. Anticamente la sacca poteva essere
costruita anche con una vescica di pecora o maiale (in questo caso si
parla comunemente di piva a vescica) e nei paesi
baltici, in particolare in Estonia, con lo stomaco di una foca. Oggi le
cornamuse sono costruite anche con serbatoi in gomma, realizzati ad
esempio utilizzando le camere d’aria dei pneumatici.
Al
sacco sono infisse le canne: il bocchino,
o cannello d’insufflazione, attraverso il quale il suonatore
introduce l’aria nella sacca; la canna per la melodia, per il
canto, detta chanter, normalmente munita di 7 fori
digitali anteriori ed 1 posteriore per il pollice, sulla quale il
suonatore esegue la melodia; il bordone, o canna
dell’accompagnamento, con la quale il suonatore emette una
nota costante e insistita in rapporto consonante con la nota
fondamentale del chanter (generalmente ottava, quinta o quarta sotto).
A
seconda del tipo di strumento le canne
possono essere a foratura cilindrica o conoidale; ad ancia semplice o
ad ancia doppia. La zampogna italiana è munita di ancia
doppia sia nel chanter, sia nei bordoni.
Età
e luogo d’origine
della cornamusa sono ignoti, anche se è possibile che derivi
dallo sviluppo nelle tecniche d’insufflazione di arcaici
strumenti ad ancia diffusi nelle antiche civiltà greche ed
arabe.
La
più antica testimonianza
relativa all’applicazione di un sacco a strumenti a fiato
risale all’età ellenistica, ed è
rappresentata da una terracotta egizia del I secolo a.C. raffigurante
un suonatore con cornamusa ad una canna, verosimilmente in funzione di
bordone. Dall’Oriente la cornamusa penetrò nel
mondo greco-romano agli inizi dell’età imperiale
(I secolo d.C.). Di qui si diffuse presumibilmente in tutto il bacino
del Mediterraneo. Bisogna però arrivare sino
all’alto medioevo, X secolo, per incontrare le prime
attestazioni del suo impiego.
La
documentazione iconografica
più antica risale al XII secolo, con un codice manoscritto
lombardo in cui è raffigurata una cornamusa munita di
piccola sacca e di 1 canna melodica.
Nei
secoli successivi lo strumento
acquistò dimensioni maggiori e fu armato di bordone.
Nel
XIV e XV secolo la cornamusa viene
generalmente rappresentata con grande sacca, una canna della melodia e
una di bordone.
Nei
secoli successivi lo strumento conobbe
alterne fortune a seconda dei diversi paesi di diffusione.
Nell’area anglosassone, in particolare in Scozia, mantenne un
ruolo significativo nelle manifestazioni pubbliche, nella vita sociale
ed anche in quella militare, dando origine ad una illustre tradizione
che si conserva tuttora.
In
Francia conobbe un periodo
particolarmente felice nei secoli XVII e XVIII la musette,
dotata di mantice e canne di avorio riccamente lavorate, che divenne
uno degli strumenti favoriti della moda pseudo-pastorale
dell’aristocrazia francese anteriore alla Rivoluzione.
A
parte questi casi però, dopo
la grande considerazione in cui fu tenuta nel corso del medioevo,
nell’età moderna la cornamusa decadde ben presto a
strumento dei poveri e fu confinata all’ambiente contadino,
accomunandosi in ciò alla ghironda.
Nella
seconda metà del XX
secolo, col progredire dell’industrializzazione ed il
conseguente diradarsi del tessuto sociale contadino, l’area
della cornamusa si è notevolmente contratta. Non di rado
inoltre, anche laddove se ne sono mantenute le funzioni, si
è verificato il caso che queste fossero trasferite a
strumenti più moderni, in particolare alla fisarmonica.
In
Italia, estintasi la vecchia piva
delle regioni alpine, la cornamusa, nel tipo zampogna italiana,
sopravvive oggi solo in alcune zone meridionali e insulari, dove la
tradizione legata alla pastorizia è ancora ben radicata:
Abruzzo, ma soprattutto Molise: zampogna molisana,
Calabria: surdulina, Sicilia: ciaramedda
e Sardegna.
A
Scapoli, in provincia di Isernia, nel
Molise, in angusti e poveri laboratori artigianali, si costruisce
ancora oggi la zampogna molisana, secondo metodi tradizionali. Gli
attrezzi adoperati per la costruzione della zampogna sono
essenzialmente utensili realizzati dagli stessi artigiani quali
alesatori, sgorbie, punte a cucchiaio. Il tornio, una volta a pedale,
si avvale oggi di motori elettrici.
Nel
Molise, accanto alla costruzione della
zampogna, resiste anche la tradizione dei suonatori di zampogne
(zampognari). Virtuosi suonatori sono presenti in diversi paesi quali:
Scapoli, S.Polo Matese, Castelnuovo, Bojano.
E
veniamo alla realtà trentina.
Nell’arco
alpino la presenza
della cornamusa è testimoniata fin dal medioevo.
Particolarmente significativa la tradizione che si è
attestata nella provincia di Bergamo con il baghèt,
la tradizionale cornamusa bergamasca, che deriva il proprio nome dalla
sacca, detta baga (termine presente anche nel nome
inglese bagpipe), confezionata con la tradizionale
pelle di pecora o di capra. Il baghèt presenta il bocchino,
una canna della melodia chiamata diana e due
bordoni, detti organi, uno tenuto verticale
appoggiato alla spalla, ed uno sostenuto dall’avambraccio o
lasciato cadere verso il basso.
La
più antiche testimonianze
iconografiche e documentarie della cornamusa in territorio trentino
risalgono all’età rinascimentale, vale a dire ai
primi decenni del ‘500.
La
zampogna, probabilmente nel tipo piva
delle alpi, compare così in una lunetta del Magno Palazzo di
Trento, vale a dire nel Castello del Buonconsiglio, dove Gerolamo
Romanino, il pittore rinascimentale che assieme a Marcello Fogolino e
Dosso Dossi ha affrescato tutta la residenza del Principe Vescovo, ha
raffigurato il buffone di corte di Bernardo Clesio, che secondo le
tradizioni era Paolo Alemanno, appunto con questo strumento in mano.
Un’altra
celebre raffigurazione
di cornamusa in ambito trentino è quella che si riferisce
alla danza macabra, o danza della morte, affrescata sulla parete
esterna della chiesa di S. Vigilio di Pinzolo. Lo strumento questa
volta è suonato dalla morte, raffigurata in forma di
scheletro, proprio in corrispondenza della prima immagine della danza,
quella che inizia con la celebre frase: “Io sont la morte che
porto corona”. Il dipinto venne eseguito nel 1539 da Simone
Baschenis, uno dei membri della celebre famiglia di pittori itineranti
Baschenis de Averaria, originari del territorio bergamasco.
L’artista ha raffigurato la zampogna nella classica forma con
sacca, bocchino, una canna per la melodia e un bordone appoggiato alla
spalla della morte, che suona lo strumento stando seduta su un gradino.
Completano la scena altri due scheletri che suonano delle lunghe pive.
Per
concludere un’ultima nota
sempre relativa al periodo rinascimentale. Nel 1525 esplose anche in
Trentino la famosa rivolta dei contadini contro il potere del
principato Vescovile, nota come Guerra rustica. Sembra che le milizie
contadine in marcia su Trento fossero accompagnate dal suono delle
zampogne, in questo caso usate con funzione di rudimentale banda
militare sul tipo della celebre cornamusa scozzesa, la Great
Highland Bagpipe, chiamata anche Grande Signora.
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